Il valido oratore - secondo due tecnici dell'ars oratoria come Cicerone e Quintiliano - deve essere in grado di svolgere una triplice azione nei confronti del pubblico:
- docere et probare, cioè informare l'uditorio e dimostrare in modo convincente la propria tesi;
- delectare, cioè catturare l'attenzione e il favore del pubblico attraverso un discorso piacevole e artisticamente pregevole;
- movere (o flectere), cioè commuovere il pubblico, per farlo aderire alla tesi esposta a livello emotivo prima ancora che a livello razionale.
A queste tre azioni corrispondono, secondo i retori, tre diversi livelli stilistici (uno stile umile, dimesso lineare per docere; uno stile medio, "fiorito" di figure retoriche, per delectare; uno stile sublime, capace di muovere le emozioni, per movere).
L'oratoria del mondo greco e latino presente tre grandi generi (distinti e descritti da Aristotele):
1) il genere giudiziario, nel quale l'orazione è l'arringa del difensore o dell'accusatore (per usare esempi ciceroniani: le orazioni contro Verre, La Pro Milone, la Pro Celio, la Pro Sestio ... );
2) il genere deliberativo, che comprende i discorsi di natura politica di fronte al senato o al popolo (le Catilinariae o le Philippicae di Cicerone, per esempio);
3) il genere dimostrativo (o epidittico), che consiste nell'elogio di persone vive o morte, benemerite nei confronti della patria (vedi per esempio la IX Philippica di Cicerone, che è una vera e propria orazione epidittica contenente l'elogio di Sergio Sulpicio Rufo); ovviamente quest'ultimo è il genere più ricco di ornamenti e figure retoriche, perchè deve mirare anzitutto a delectare.
La preparazione di un'orazione segue cinque fasi, codificate dalla Rhetorica ad Herennium e riprese anche da Cicerone nel De oratore, che sono:
1) inventio, la ricerca delle idee, degli argomenti adatti a svolgere la tesi prefissata; ha importanza soprattutto per l'oratoria giuridica (nella ricerca delle prove) e spesso attinge a repertori di luoghi (cioè argomenti) codificati (topica);
2) dispositio, la scelta e la disposizione organizzata di argomenti e ornamenti all'interno del discorso (questa fase tratta le quattro parti del discorso, che riprenderemo sotto);
3) elocutio, l'espressione linguistica delle idee, la scelta di un lessico appropriato, di un'efficace disposizione sintattica, di opportuni artifici retorici; su questo passaggio, in particolare, si scontrano diverse correnti di pensiero greche trapiantate a Roma (come asiani e atticisti);
4) memoria, le tecniche di memorizzazione del discorso da recitare (ma finalizzate anche a ricordare le parole degli avversari, per controbatterle);
5) actio, la declamazione del discorso, accompagnata da un'opportuna modulazione della voce e dalla gestualità adeguata.
La seconda fase di preparazione dell'orazione, cioè la dispositio, affronta la struttura del discorso, che presenta uno schema rigido al quale si è sempre attenuta l'oratoria giudiziaria (mentre gli altri due generi hanno mostrato una maggiore libertà di disegno), le quattro parti del discorso sono:
1) exordium, l'introduzione con cui l'autore cerca di accattivarsi subito l'interesse dell'uditorio (rientra nell'esordio la tecnica della captatio benevolentiae); di solito è carico di ornamenti, perchè mira a delectare e movere;
2) narratio, l'esposizione dei fatti, che mira a docere l'uditorio, a informarlo dei fatti; è in stile semplice, chiaro; può seguire l'ordo naturalis (narrazione degli avvenimenti in ordine cronologico, dall'inizio alla fine della vicenda) oppure l'ordo artificialis (con un inizio a effetto in medias rei, nel cuore della vicenda che viene affrontata);
3) argomentatio (demonstratio), è la dimostrazione delle prove atte a sostenere i fatti ricostruiti o la tesi appena esposta: rappresenta il cuore del discorso, la sua parte più importante, e deve essere la più convincente; di solito comprende due fasi: la confirmatio, che è la presentazione degli argomenti addotti dall'oratore a sostegno della propria tesi, e la refutatio, cioè la confutazione delle prove e degli argomenti addotti dall'avversario;
4) peroratio, la conclusione del discorso, alla quale è affidato il compito di muovere gli effetti: l'oratore mette qui in gioco tutti i procedimenti atti a sviluppare il pathos nell'ascoltatore, e si conclude proprio con un appello ai giudici o al pubblico.
L'oratore spesso ricorreva anche alla tecnica dell'amplificatio, che permetteva di amplificare la propria tesi attraverso l'impiego di una serie di loci communes (exempla storici, riflessioni morali ...), codificati in apposite raccolte o nelle orazioni fittizie, di scuola, come le esercitazioni di Seneca il Vecchio (I secolo a.C. - I secolo d.C.).
Res et fabula - Diotti, Dossi, Signoracci - Sei editore - 2020 - pagg. 428-429
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