Si è portati a credere che l’unico compito del sindacalista
sia quello di difendere i diritti del lavoratori, ma non è così, o almeno non
deve fare solo quello.
Parto dal presupposto che un sindacalista deve agire
seguendo tre direttive principali: difesa dell’occupazione, difesa delle retribuzioni e difesa della
professionalità. Ebbene seguendo questo ordine di principi ne deriva che la
difesa dei diritti dei lavoratori sia un aspetto, sicuramente importante, ma
non l’unico.
Faccio un esempio, tremendamente attuale, se una banca ha
cinque sportelli in una provincia e decide di accorparli in un’unica filiale,
cosa accade? Tutti i lavoratori vengono destinati all’unica filiale superstite,
quindi il livello occupazionale è stato salvato, anche il livello retributivo è
salvo, ancorchè qualche lavoratore avrebbe maggiori spese di trasferimento, non
sempre adeguatamente ricompensate dalla banca. L’unico aspetto che resterebbe
in piedi è la difesa della professionalità, ma anche su quel fronte spesso le
soluzioni si trovano … e allora?
E allora continuo a pensare che, come sindacalista, il tutto
non mi soddisfa e le soluzioni che si trovano sono valide, ma comunque
posticce, artefatte, e nascondono sotto il tappeto un problema enorme che prima
o poi dovremo affrontare.
La desertificazione bancaria, ovvero l’abbandono dei piccoli
e medi comuni da parte degli istituti di credito, non ha un impatto solo sui
dipendenti che devono sobbarcarsi pochi o tanti chilometri in più, ma ha un
effetto importante, a volte devastante sulle comunità locali, su quei piccoli e
medi comuni i quali vedono privarsi di una istituzione importante come la
banca, spesso anche con un preavviso di pochissimi giorni.
Ebbene, in queste realtà la chiusura di una banca porta,
come effetto immediato la non considerazione di quel comune da parte di qualche
volenteroso imprenditore intenzionato ad investire. Non lo farà mai in un
territorio che di suo offre già, in prima battuta, un evidente disservizio.
Non bastasse questo alcune attività che possono
permetterselo, ovviamente non mi riferisco alle botteghe di artigiani, agli
alimentari o ai servizi di ricettività, studiano di portare altrove il loro
business, a volte mettendo in difficoltà i loro lavoratori, e non so quanto
tutto ciò sia criticabile.
Per non parlare del rischio, purtroppo alto e mai
adeguatamente affrontato, che la desertificazione bancaria lascia il campo
libero alla malavita e alla criminalità che potrebbe prosperare grazie alle
attività usurarie, con il concreto rischio che tutto ciò metta in ginocchio le
attività presenti ed i lavoratori interessati.
E tutto questo si traduce in perdita di posti di lavoro e
depressione di un territorio, spesso senza colpe dirette.
Ora non so se questa mia analisi sia giusta e condivisa, ma
è il mio pensiero frutto di due decenni di sindacalismo e di molti anni di
studio e di impegno contro la desertificazione bancaria. La chiusura delle
filiali non è mai fine a se stessa e coinvolge, in un modo o nell’altro, un
territorio che ne trae solo aspetti negativi, in netta contraddizione ai
proclami delle banche sulla Responsabilità Sociale di Impresa.
Da sindacalista non posso girarmi dall’altra parte e fare
finta di niente, ignorare il problema, non fa per me. Ecco perché quando il
consigliere comunale di Atina, Quirino Di Paolo, mi ha cercato per espormi la
preoccupazione sua e di tutta la comunità circa la chiusura della filiale di
Banca Intesa, ho dato senza tentennamenti ed esitazioni la mia più totale
adesione. E proprio lì, ad Atina, ho avuto la conferma del mio pensiero nel
vedere centinaia di persone accorrere per firmare la petizione, alcuni hanno
fermato la macchina, hanno firmato e sono velocemente ripartite, ma volevano
dare la loro testimonianza in maniera concreta. Centinaia di cittadini, non
tutti correntisti di Banca Intesa, arrabbiati che hanno voluto concretamente, e
civilmente, protestare per la perdita di un pezzo di storia del loro
territorio. Da tanti di loro ho sentito riferimenti che risalivano addirittura
a quando la banca era “Banco di Napoli”, archeologia del credito.
Ma se quello che sta succedendo ad Atina è grave, quello che
a luglio accadrà a Boville Ernica sarà gravissimo, perché Banca Intesa andrà a
chiudere l’unica filiale del comune, desertificandolo dai servizi bancari.
Da sindacalista sono stato ad Atina, andrò a Boville Ernica e garantirò la mia presenza ovunque si deciderà di combattere a difesa del territorio.