mercoledì 1 marzo 2023

ALCUNE RIFLESSIONI SULLA DESERTIFICAZIONE BANCARIA

Si è portati a credere che l’unico compito del sindacalista sia quello di difendere i diritti del lavoratori, ma non è così, o almeno non deve fare solo quello.

Parto dal presupposto che un sindacalista deve agire seguendo tre direttive principali: difesa dell’occupazione,  difesa delle retribuzioni e difesa della professionalità. Ebbene seguendo questo ordine di principi ne deriva che la difesa dei diritti dei lavoratori sia un aspetto, sicuramente importante, ma non l’unico.

Faccio un esempio, tremendamente attuale, se una banca ha cinque sportelli in una provincia e decide di accorparli in un’unica filiale, cosa accade? Tutti i lavoratori vengono destinati all’unica filiale superstite, quindi il livello occupazionale è stato salvato, anche il livello retributivo è salvo, ancorchè qualche lavoratore avrebbe maggiori spese di trasferimento, non sempre adeguatamente ricompensate dalla banca. L’unico aspetto che resterebbe in piedi è la difesa della professionalità, ma anche su quel fronte spesso le soluzioni si trovano … e allora?

E allora continuo a pensare che, come sindacalista, il tutto non mi soddisfa e le soluzioni che si trovano sono valide, ma comunque posticce, artefatte, e nascondono sotto il tappeto un problema enorme che prima o poi dovremo affrontare.

La desertificazione bancaria, ovvero l’abbandono dei piccoli e medi comuni da parte degli istituti di credito, non ha un impatto solo sui dipendenti che devono sobbarcarsi pochi o tanti chilometri in più, ma ha un effetto importante, a volte devastante sulle comunità locali, su quei piccoli e medi comuni i quali vedono privarsi di una istituzione importante come la banca, spesso anche con un preavviso di pochissimi giorni.

Ebbene, in queste realtà la chiusura di una banca porta, come effetto immediato la non considerazione di quel comune da parte di qualche volenteroso imprenditore intenzionato ad investire. Non lo farà mai in un territorio che di suo offre già, in prima battuta, un evidente disservizio.

Non bastasse questo alcune attività che possono permetterselo, ovviamente non mi riferisco alle botteghe di artigiani, agli alimentari o ai servizi di ricettività, studiano di portare altrove il loro business, a volte mettendo in difficoltà i loro lavoratori, e non so quanto tutto ciò sia criticabile.

Per non parlare del rischio, purtroppo alto e mai adeguatamente affrontato, che la desertificazione bancaria lascia il campo libero alla malavita e alla criminalità che potrebbe prosperare grazie alle attività usurarie, con il concreto rischio che tutto ciò metta in ginocchio le attività presenti ed i lavoratori interessati.

E tutto questo si traduce in perdita di posti di lavoro e depressione di un territorio, spesso senza colpe dirette.

Ora non so se questa mia analisi sia giusta e condivisa, ma è il mio pensiero frutto di due decenni di sindacalismo e di molti anni di studio e di impegno contro la desertificazione bancaria. La chiusura delle filiali non è mai fine a se stessa e coinvolge, in un modo o nell’altro, un territorio che ne trae solo aspetti negativi, in netta contraddizione ai proclami delle banche sulla Responsabilità Sociale di Impresa.

Da sindacalista non posso girarmi dall’altra parte e fare finta di niente, ignorare il problema, non fa per me. Ecco perché quando il consigliere comunale di Atina, Quirino Di Paolo, mi ha cercato per espormi la preoccupazione sua e di tutta la comunità circa la chiusura della filiale di Banca Intesa, ho dato senza tentennamenti ed esitazioni la mia più totale adesione. E proprio lì, ad Atina, ho avuto la conferma del mio pensiero nel vedere centinaia di persone accorrere per firmare la petizione, alcuni hanno fermato la macchina, hanno firmato e sono velocemente ripartite, ma volevano dare la loro testimonianza in maniera concreta. Centinaia di cittadini, non tutti correntisti di Banca Intesa, arrabbiati che hanno voluto concretamente, e civilmente, protestare per la perdita di un pezzo di storia del loro territorio. Da tanti di loro ho sentito riferimenti che risalivano addirittura a quando la banca era “Banco di Napoli”, archeologia del credito.

Ma se quello che sta succedendo ad Atina è grave, quello che a luglio accadrà a Boville Ernica sarà gravissimo, perché Banca Intesa andrà a chiudere l’unica filiale del comune, desertificandolo dai servizi bancari.

Da sindacalista sono stato ad Atina, andrò a Boville Ernica e garantirò la mia presenza ovunque si deciderà di combattere a difesa del territorio.

domenica 1 gennaio 2023

Il discorso di Ratisbona di Papa Benedetto XVI

 Qui di seguito riporto la versione integrale del famoso discorso di Ratisbona di Papa Benedetto XVI

Eminenze, magnificenze, eccellenze, illustri signori, gentili signore!

È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era - nel 1959 - ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un'esperienza di universitas  - una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa - l'esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione - questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva - di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.