Ringrazio il Presidente per l'invito a questa audizione e gli onorevoli commissari
presenti oggi.
Nel corso di pochi giorni è la seconda volta che i sindacati vengono ascoltati su
questioni e provvedimenti legislativi inerenti il mondo bancario, segno questo, secondo
noi, di forte interesse da parte istituzionale di ascoltare la voce dei rappresentanti dei
lavoratori, ovvero di coloro che in prima fila quotidianamente stanno vivendo situazioni
di forte disagio e preoccupazione sul futuro.
Questo interesse di parte politica ci infonde un alto senso di responsabilità che deve
obbligarci ad essere il più schietti possibile.
Ebbene, la Ugl Credito chiede, nel settore bancario, l'avvio di una stagione di verità
e trasparenza. E, al contempo, una fase di assunzione di responsabilità da parte di tutti
anche, ovviamente, da parte dei sindacati.
Da un po' di tempo a questa parte assistiamo, quasi increduli, ad un continuo
susseguirsi di dichiarazioni rassicuranti ed ottimistiche circa lo stato di salute del sistema
bancario italiano. Purtroppo, però, a fronte di tutte queste dichiarazioni registriamo dei
dati di fatto, degli eventi, che contraddicono quanto da due anni a questa parte viene
dichiarato dal Presidente del Consiglio, dal Ministro dell'Economia, dal Governatore di
Banca d'Italia e, per ultimo, dal Presidente dell'ABI.
Partiamo dalla riforma delle banche popolari, effettuata per sganciare alcune
banche con patrimoni rilevanti dal mondo delle popolari e dal voto capitario per favorire
qualche aggregazione. Osservatori maliziosi sostennero che era una operazione volta a
favorire il matrimonio di UBI con MPS, ma ad oggi non si è fatto nulla, anzi il Ceo di UBI
Massiah quasi settimanalmente è costretto a smentire voci di interessamento.
Arriviamo al fallimento delle quattro banche, effettuato in fretta e furia, ci dissero, per
evitare il "bail-in", ma molti risparmiatori sono in fila ad attendere di essere ristorati
almeno di una parte dei loro risparmi, se conclamata la truffa ai loro danni. Tutto questo
per non parlare della vigilanza, o mancata vigilanza, che ha messo sotto pressione sia
Banca d'Italia che Consob.
Poi le turbolenze di mercato di queste settimane che hanno spinto gli indici al
ribasso ed erosa una parte importante della capitalizzazione degli istituti di credito
italiani.
Ed oggi siamo qui a discutere nello specifico di due, dei quattro provvedimenti che
il Governo ha inserito nel decreto 18 del 14 febbraio 2016, varato e che nei fatti sono
altri due "salvataggi".
Il primo relativo alla riforma delle banche di credito cooperativo. Una riforma nata
male perchè non rispecchia la volontà del mondo cooperativo che si era espresso in
modo totalmente differente. Non si è infatti, compresa l'esigenza di "staccare" da questo mondo le banche con patrimoni più rilevanti, per intenderci quelli oltre i 200 milioni di
euro. Anche qui gli osservatori più maliziosi sostengono si tratti del secondo tempo di un
film già visto con le popolari, e si sta tentando di creare la possibilità, anche con questa
operazione, di trovare un consorte al MPS, il grande malato della finanza italiana. Ma
così facendo, da un lato viene snaturata l'operazione nella sua essenza se, come si
sostiene da più parti, l'obiettivo era quello di creare il terzo polo bancario in un sistema
che vede ad oggi due soli grandi istituti di respiro internazionale. Ebbene se questo era
l'obiettivo, la strada è quella sbagliata.
Dall'altro lato questo provvedimento snatura completamente il ruolo delle BCC, le
quali, storicamente, avendo avuto nel loro seno i portatori di interesse locali, i famosi
stakeholder, hanno sempre sostenuto le economie reali locali, in special modo le PMI e
gli artigiani, vera spina dorsale dell'economia italiana. Trasformandole in spa, con una
holding, si rischia di sganciarle da quel mondo, casomai proiettandole verso la finanza,
con gravi ripercussioni sul tessuto sociale italiano.
E' per questi motivi che chiediamo in prima istanza di ritirare il provvedimento e, se
proprio non fosse possibile di eliminare l'art. 1 comma 6 lettera b, che riteniamo inutile e
dannoso sia per il sistema bancario italiano che per la nostra economia.
L'altro provvedimento, che vediamo più di buon occhio, anche se crediamo difficilmente
emendabile perchè frutto di un accordo in sede europea, è quello relativo alle sofferenze.
Anche se, nei fatti, è un altro forte segnale che i bilanci bancari, e l'intero sistema, ha più
di qualche problema. Curiosamente notiamo che in contemporanea all'uscita di questo
decreto l'ABI, nei suoi report mensili pubblicati sul suo sito, ha smesso di indicare
l'ammontare delle sofferenze lorde presenti nei bilanci delle banche, limitandosi a
riportare le sole sofferenze nette.
Per semplificare, a gennaio sapevamo che le sofferenze lorde, del mese di novembre
2015, ammontavano a 201 miliardi di euro, contro gli 88 miliardi di euro delle
sofferenze nette. Oggi nel report di febbraio sappiamo "solo" il dato delle sofferenze nette
e che queste sono aumentate a quasi 89 miliardi di euro nel mese di dicembre 2015. Dato pur sempre significativo anche se meno eclatante e, soprattutto, poco trasparente se
consideriamo che fino a ieri ci misuravamo con altri dati.
Ritornando quindi a monte, e concludiamo, alla trasparenza. Chiediamo come
rappresentanti dei lavoratori che qualche istituzione ci venga a dire come stanno
veramente le cose, qual'è veramente la situazione e in tutta sincerità. I segnali sono
pessimi, i piani industriali delle banche si basano quasi esclusivamente sugli esuberi del
personale, ma certa classe manageriale bancaria assolutamente autoreferenziale,
continua a prosperare concedendosi lauti guadagni e stock-options a fronte di continue
perdite e di operazioni che creano valore solo nel brevissimo tempo, ammesso che lo
creino.
Tutto ciò riteniamo non sia più sostenibile, oggi più che mai c'è bisogno di un
dialogo franco tra le parti, compresa la politica, altrimenti la nave affonda e noi
continuiamo a suonare l'orchestra.
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